Studi scientifici sull’efficacia della meditazione
Fra i primi studi scientifici che hanno valutato gli effetti benefici della meditazione sul cervello troviamo quelli della cardiologa Therese Brosse, che nel 1935 diede conferma del fatto che è possibile modificare in modo volontario l’attività del sistema nervoso autonomo, come è possibile fare meditando. Durante l’osservazione del tracciato dell’attività elettrica del cuore di alcuni praticanti della meditazione di religione induista, si è potuto registrare una riduzione della frequenza cardiaca e del ritmo respiratorio e a livello del tracciato cerebrale uno stato di rilassamento molto simile al sonno.
Negli anni ‘50 gli psicofisiologi Wegner e Bagchi studiarono 14 soggetti praticanti indiani, e confermarono che la meditazione può rappresentare un singolare stato di riposo profondo. Questi studiosi hanno rilevato la presenza di un pattern elettroencefalografico caratterizzato da un ritmo alfa persistente, analogo a quello delle onde Alfa registrate nel periodo che precede immediatamente la fase del sonno, le quali normalmente compaiono quando si chiudono gli occhi e che nei monaci in meditazione mostrano uno spiccato aumento dell’ampiezza e della regolarità anche durante il normale stato di veglia. Questo dimostra come durante la meditazione i monaci presentassero un livello di concentrazione tale da entrare in uno stato di rilassamento molto profondo senza però essere addormentati. Infatti, le onde Alfa sono delle onde che il cervello emette nei momenti introspettivi quando la mente medita, si rilassa e si astrae dagli elementi di distrazione esterni. Esse sono associate ad uno stato pur sempre vigile, ma rilassato del cervello.
Effetti benefici della meditazione sullo stress
La meditazione induce sul cervello modificazioni anche chimiche che influenzano il sistema di regolazione dello stress, da cui discende la prima fonte del nostro benessere. È stato riscontrato come la meditazione, praticata regolarmente, induce:
la regolazione della produzione del cortisolo, ormone che preside all’azione anti-immunitaria del nostro corpo, riducendolo se è troppo e aumentandolo se è troppo poco;
l’aumento notturno della melatonina, che svolge una funzione fondamentale nella sincronizzazione dei ritmi del ciclo sonno-veglia;
la riduzione della noradrenalina, importante neurotrasmettitore che si attiva sotto stress, provocando un aumento del battito cardiaco per predisporci ad un’azione di attacco-fuga in caso di necessità e che tiene sotto controllo i centri cerebrali dell’attenzione e delle reazioni, tenendoci in uno stato di attivazione costantemente equlibrato;
l’aumento della serotonina, principale regolatore dell’umore, nonché del sistema fame-sazietà;
l’aumento di un ormone stereoideo (Dhea), che contribuisce a rendere più efficace il sistema immunitario e ha incide in maniera pregnante anche sulla regolazione dell’umore.
Tutti questi effetti della pratica meditativa sugli ormoni come il cortisolo e la melatonina e sui neurotrasmettitori come la serotonina, sono stati dimostrati da esperimenti in cui gli esiti in seguito a sessioni di esercizi di meditazione sono stati messi a confronto con gli stati in cui questa non viene praticata. Per esempio, per verificare l’aumento dei livelli di melatonina, i soggetti sono stati testati sia dopo aver condotto gli esercizi, sia dopo un normale stato di quiete, nel corso della notte, quando la produzione di questo ormone è fisiologicamente al massimo. il livello della melatonina si è visto salire significativamente dopo la meditazione piuttosto che in altri momenti.
Meditare migliora le nostre attività cerebrali
Le tecniche meditative dunque, sono in grado di modificare i ritmi cerebrali che sono costituiti da onde elettriche di bassa e alta frequenza, più o meno veloci. Alcune indagini hanno messo in rilievo come in coloro che praticano abitualmente la meditazione si sviluppano delle caratteristiche mentali che permettono di bloccare l’automatismo della risposta agli stimoli, aumentando la vigilanza e l’attenzione consapevoli. In un gruppo di meditanti esperti si è registrato un notevole incremento di onde Gamma di trenta volte superiore a quello dei novizi, che sta ad indicare un’aumentata attività delle aree sensoriali, visive associative e di quelle deputate al controllo di sé e all’elaborazione cognitiva (che sono quelle parietali, temporali e frontali). Le onde Gamma sono associate alla funzionalità cognitiva e livelli estremamente elevati corrispondono a un picco molto alto di concentrazione. Parallelamente a questi effetti, si è potuta constatare anche una minore attivazione dei circuiti mediali prefrontali deputati alla risposta emozionale, la cui attività EEG (eletrroencefalografica) si trova in uno stato di quiete e che indica la percezione di un senso di pace e riposo negli individui praticanti la meditazione da più tempo.
La maggiore capacità di attenzione è invece dimostrata dal fatto che soggetti meditanti sottoposti a un test di valutazione di catalogazione di parole effettive e parole non identificabili come tali, hanno mostrato di riacquisire lo stato di default cerebrale, ovvero di disattivazione delle connessioni tra le aree coinvolte nell’elaborazione di compiti cognitivi generali o specifici, molto più rapidamente dei soggetti di controllo. Questo significa che la meditazione permette di allentare l’attività cognitiva e rallentare la velocità con la quale siamo soliti elaborare i pensieri.
Inoltre, ci sono studi che hanno riscontrato come dopo soli quattro giorni consecutivi, per un periodo di venti minuti al dì, di attenzione al respiro e assenza di coltivazione dei pensieri che sopraggiungono alla mente, i soggetti sono riusciti ad implementare la loro capacità di focalizzazione e di stabilità attentiva, oltre che a ridurre sensibilmente il loro stato di ansia, rispetto ai soggetti di controllo.
Hanno mostrato persino una maggior efficienza della memoria di lavoro e di quella a lungo termine, richiamando informazioni in condizioni che richiedono una sempre più rapida elaborazione dello stimolo e dunque un rapido ritorno dell’attenzione.
Infine, anche la percezione visiva è più efficiente e flessibile. Per esempio, nell’individuazione di cambiamenti minimi intervenuti in scene identiche, valutando il tempo di latenza e l’accuratezza della descrizione delle condizioni mutate, i meditanti si sono mostrati di gran lunga superiori ai soggetti che non meditavano. Come pure nel conteggio dei dribbling e dei passaggi di palla in un gruppo di giocatori di basket con maglia bianca, che per essere effettuato richiede un discernimento da quelli che sta effettuando contemporaneamente il gruppo dalla maglia nera.
Vi consiglio di guardare il video, che mostra un test per il livello di attenzione, che potrebbe essere interessante vagliare anche a prescindere dal fatto che siate già esperti di meditazione o meno, anche perché l’effetto sorpresa non viene comunque notato né dai soggetti meditanti, né da quelli non meditanti.
Sembra che effettivamente la meditazione cambi la struttura fisica del cervello, per cui le regioni corticali associate all’attenzione e alla ricezione di stimoli interni, oltre che sensoriali, abbiano uno spessore maggiore di quello presentato dai soggetti di controllo e questo dato mostra a sua volta un’associazione con una minore sensibilità al dolore. Mentre, tra coloro che meditano abitualmente, il volume complessivo della materia grigia non diminuisce con gli anni, come accade normalmente per coloro che non meditano. Anzi, aumenta persino per alcune aree implicate nella gestione delle emozioni relative alla coscienza di sé e all’empatia verso gli altri.
Tuttavia, affinché queste pratiche abbiano i loro effetti benefici, devono essere coltivate assiduamente e mantenute nel tempo, come accade per altre attività, per le quali ci si deve tenere in allenamento, se si vuole usufruire dei vantaggi che ne derivano.